4 ottobre 2013

Lampedusa e noi

Da ieri non trovo pace. Non trovo le parole, ma la rabbia e l'indignazione sono più forti di tutto. E non cessano di crescere. Erano già al colmo quando i morti erano "solo" tredici, stesi sulla spiaggia di Scicli, la settimana scorsa, e un altro essere umano faceva lo slalom tra i morti continuando a fare jogging. Crescono di ora in ora mentre sento i commenti della gente, di quella gente comune che sarebbe l'italica "brava gente" e che invece in radio (anche quelle dove ti aspetteresti commenti solidali! anche loro!) e nei commenti sui giornali si mostra gretta e abbrutita, incapace di alzare lo sguardo dal proprio misero orticello da difendere. Poco fa in tv hanno trasmesso le immagini del salone nautico di Genova, dove in segno di lutto hanno voluto onorare i morti suonando le sirene. ero allibita: nessuno delle centinaia di presenti, NESSUNO che almeno si fermasse. Nessuno. La pietà è morta. E morti siamo noi. Noi occidente siamo morti, morti dentro, incapaci di provare sentimenti, inabili al titolo di esseri umani. Saremo travolti, sì, come paventano i tanti che temono l'invasione. Ma saremo travolti da noi stessi e dalla nostra inumanità. Noi, sepolcri imbiancati, capaci di piangere lacrime false e girarci dall'altra parte per continuare le nostre spesso inutili ma sempre urgentissime attività. C'è una scena che mi torna in mente da ieri, da quando un letto uno dei tanti tweet su #Lampedusa. Non ricordo più chi scriveva che siamo tutti bravi a parlare, ma che nessuno si prenderebbe in casa un naufrago. Mi sono fermata a pensare, mi sono interrogata. Lo farei? non lo so, posso dire di sì, ma sarebbe vero? E mi sono ricordata del viaggio di giugno e luglio in Congo, a Goma, città sotto assedio, che da vent'anni non conosce la pace. Lì ho i parenti e metà del mio cuore. I ribelli erano e sono alle porte della città. La gente scappa in continuazione dalle campagne, alle porte della città ci sono sterminati campi di sfollati. Nessuno di loro arriverà in Europa, state tranquilli! Non ne avrebbero modo. Chi da quelle zone arriva qui è chi ha studiato, chi ce l'ha fatta. Gli altri si affollano in campi privi di tutto. Alcuni sono anche nostri parenti. Siamo andati a trovarli. In una casupola di lamiera e assi di legno. In quanti ci vivevano, ora non ricordo. Una normale, numerosa famiglia congolese. Con un bimbo appena nato. Ci hanno accolto, offrendo ciò che avevano, condividendo il loro poco cibo con noi. Donandoci i loro splendidi sorrisi, di cui mai sono avari. Loro, in quelle misere quattro mura, si stringono e trovano spazio per un parente in più che scappa, per un amico, per un ospite. E infatti chi si occupa di sfollati ci spiega che i campi sono stracolmi, m in realtà i numeri sono ancora più grandi, perché tanti dei fuggitivi sono accolti nelle case dei parenti, dei conoscenti, ma anche da altri, che - semplicemente - sono esseri umani. Esseri umani veri, che sono ancora capaci di CONDIVIDERE il poco che hanno. Ecco. Se l'occidente si salverà, sarà per merito loro. Badate: se chiudiamo le frontiere, moriremo soli, seppelliti dalla nostra indifferenza. Apriamole, prima che sia troppo tardi: saranno loro a salvare noi. PS: Queste mie parole non valgono per i Lampedusani, che il cuore e le porte non le hanno mai chiuse. Grazie per ciò che ci insegnate. PPS: guardate quell'immagine. La coperta dorata avvolge un corpo più piccolo degli altri. Potrebbe essere mio figlio. O il vostro.

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