10 novembre 2010

Banale quotidianità


Per una volta (e dopo un lungo silenzio) scrivo su questa pagina partendo da un'esperienza personale e concreta. Ieri ero a Milano, cosa che non mi capita più così di frequente.
All'andata, sul treno FS che mi portava verso la stazione Garibaldi, ho assistito a una scena di quotidiano razzismo. Il bigliettaio, un ragazzo giovane e secco, attraversa a lunghi passi la carrozza in cui mi trovo, apre la porta e si ferma nel vano di apertura delle porte. Lì in piedi ci sono due ragazzi stranieri, uno africano e uno sudamericano. il controllore intima: "Biglietto!". I due non ce l'hanno. "Datemi un documento!" dice con fare sempre più perentorio. Al rifiuto dei due giovani, minaccia di chiamare la polizia e poco dopo si allontana stizzito. Torna con ben tre agenti in borghese. Io e un'altra donna osserviamo sbigottite e commentiamo. Mi lascia basita il fatto che a me nessuno abbia chiesto il biglietto. Né a me, né agli altri occupanti della carrozza. Evidentemente, per quel solerte controllore, solo gli immigrati possono essere presi in castagna.
I tre agenti iniziano dall'africano. Ovvio. Con mia grande gioia, quando gli chiedono un documento, il ragazzo esibisce una carta d'identità! Tiè! Nel frattempo il treno si ferma e il sudamericano scende in tutta fretta. Alla fine i tre agenti, che so mostrano nei modi molto più garbati di quel solerte impiegato delle ferrovie, stringono la mano al giovane africano e se ne vanno. Il controllore biascica: "Scusate, ragazzi..."
Tutto è finito bene. Una multa per l'assenza di biglietto e via. Ma io mi sento profondamente urtata da quella scena. Di più, sono arrabbiata con me stessa perché per tutto il tempo me ne sono rimasta lì seduta e muta. In fondo, che è successo di strano? Forse nulla. Ma i modi e i toni di quel controllore erano di un'arroganza che di certo non è prevista per contratto.
Arrivo in Garibaldi e mi avvio verso il metrò. Nello slargo in cui confluiscono ferrovie, passante e metropolitana, un agente di polizia chiacchiera scanzonato con due militari armati. Mi manca l'aria. Ma siamo in un paese sotto assedio?
I militari per le strade, lungi dal darmi sicurezza, mi riportano alla mente immagini di paesi lontani, dei Congo in guerra, della Palestina assediata...
Ma verso dove stiamo andando?
Arrivo a S. Agostino. All'uscita del metrò, una giovane donna col velo islamico è seduta a terra e chiede l'elemosina. Rimango basita. Mai visto prima.
Terminate le incombenze che mi avevano portata lì, rientro in metrò. Un controllore segue oltre i tornelli una donna rom e le chiede il biglietto. E' in regola.
E noi?
Me ne torno a casa, con l'amara consapevolezza di vivere in un paese che lentamente scivola sempre più verso l'intolleranza. E noi stiamo a guardare.

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