9 aprile 2010

Non solo mondiali

Oggi le minacce di Al Qaeda sui prossimi mondiali di calcio. Qualche giorno fa, l'omicidio del leader del movimento degli Afrikaaner...
Uno strano Paese, il Sudafrica, pieno di contraddizioni: punta di diamante di un continente fortemente penalizzato, simbolo di speranza per quanto ottenuto dopo anni di lotte e fatiche indicibili, eppure sotto la cenere cova ancora odio. Ci sono stata nel 2005, per pochi, intensissimi giorni. Uno spaccato delle sue mille facce. Dalle township con i musei dedicati alla lotta di liberazione dei neri, alle moderne bidonvilles in cui sono emarginati gli attuali immigrati dai confinanti stati più poveri. Dai racconti dei testimoni della lotta di un tempo che non è lontano ma pare un'altra era, ai bianchi ridotti a chiedere l'elemosina ai semafori. Dal grande, vecchio Mandela a quello che oggi è il nuovo presidente, Jacob Zuma, che cinque anni fa era indagato per stupro.
Ma c'è un episodio che più di tutti spiega cos'è il Sudafrica di oggi: eravamo un gruppo di giovani giornalisti, in un viaggio organizzato da Nigrizia. Ogni giorno un pullmino con un simpatico autista biondo ci portava a visitare le realtà più significative di Johannesburg e Pretoria. Le due città sono collegate da un'autostrada, pochi km, dato che sono molto vicine. Quella mattina viaggiavamo tranquilli, chiacchierando tra di noi, su quell'autostrada. Ad un certo punto, un 'toc' sul fianco e subito l'autista comincia a correre. Sempre di più. Ci guardiamo in faccia. Corre come un pazzo, qualcuno cerca timidamente di chiedergli di rallentare. Nulla. E' come impazzito. Insegue come una furia il furgoncino che l'ha tamponato. Più che un tamponamento, un piccolo urto. L'autista, sempre così gentile, pare un altro, fuori di sè. Mentre corre all'impazzata, telefona alla polizia, chiedendo il loro intervento per bloccare il furgone. Noi siamo terrorizzati, bloccati ai sedili, pregando che quella carcassa di pullmino non si disfaccia sotto di noi. La folle corsa si arresta solo all'arrivo al casello. Li ha raggiunti. Sono fermi, hanno accostato. Accostiamo anche noi, l'autista dal cruscotto prende una pistola. Siamo increduli e sempre più sbalorditi. Per fortuna, in quel momento arrivano i poliziotti, almeno quattro o cinque, che intervengono armati e decisi e riprendono il controllo della situazione.
Su quel furgoncino scassato, c'erano due operai neri. Da quanto ci è dato capire, non hanno l'assicurazione e per questo cercavano di scappare. La polizia dirime la questione e placa gli animi. L'autista risale sul pullmino e con un sorriso si scusa...
Noi restiamo allibiti ancora per un bel po', increduli per la facilità con cui lui ora fa finta di nulla. E con la certezza - a pelle - che quella folle corsa non ci sarebbe stata se al volante del furgone non ci fossero stati due neri. O se il nostro autista non fosse stato biondo-rossiccio, con i baffi e gli occhi azzurri e non avesse parlato l'afrikaaner.

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